La guerra in Ucraina è al centro del dibattito pubblico in ogni paese del mondo. Dal 24 febbraio, data d’inizio della guerra, l’opinione pubblica è concentrata su questo tragico evento.Tuttavia, la disinformazione e la propaganda stanno aumentando non poco in queste settimane. Video falsi e fake news si stanno diffondendo a macchia d’olio, soprattutto sui social network, dove il rischio di incorrere in informazioni errate e prive di fonti è molto alto.
Il ruolo dei social nella propaganda bellica e nelle proteste
Questa non è la prima guerra nell’era social, ma sicuramente è quella che sta ricevendo più attenzione. Questo testimonia come ormai queste piattaforme siano fondamentali per l’accesso all’informazione. D’altronde, lo si è visto già con la pandemia. Nelle guerre, invece, internet è sempre più utilizzato come uno strumento di propaganda. Da YouTube a Tiktok, dall’inizio del conflitto sono stati pubblicati migliaia di video e foto che in realtà si sono rivelati essere ripresi da altre guerre o addirittura da videogiochi. La propaganda è da sempre uno strumento di guerra e certamente questa guerra non è da meno. Ma con i social il rischio è quello di ampliare notevolmente il raggio d’azione propagandistico.
A fronte di un utilizzo per tali fini, però, si deve riscontrare anche l’altro lato della medaglia, ovvero il ruolo positivo di internet nel fare da megafono alle proteste. Soprattutto i social media, infatti, rappresentano uno strumento fondamentale per le manifestazioni. Lo abbiamo visto ad esempio durante la primavera araba, quando le nuove generazioni hanno usato il potere di costruire network dei social per protestare contro le dittature. Twitter è sicuramente il leader in questo campo. Non è un caso che oggi la piattaforma venga utilizzata non solo dalle persone, ma anche dai vertici politici dell’Ucraina, dell’Europa e persino della Nato. Alcuni hashtag, come #UkraineRussiaWar e #StopWarInUkraine, hanno raggiunto milioni di tweet in pochissimo tempo e sono di tendenza in molti paesi.
Il problema della disinformazione
Se i social network rappresentano uno strumento di propaganda e allo stesso tempo un’arma per chi manifesta, è sotto gli occhi di tutti il pericolo di disinformazione su queste piattaforme. La disinformazione sui social network è un vero e proprio loop: quando le persone inciampano in una fake news, gli algoritmi dietro le piattaforme tendono a riproporre altri contenuti collegati ai precedenti. Questo fenomeno si chiama “Echo bubble”, in base al quale si tende a incorrere in notizie coerenti con la nostra visione, finendo per rafforzare solo le nostre convinzioni e per annientare il punto di vista degli altri.
Ma cosa stanno facendo i social per limitare il fenonemo della disinformazione? Alcuni social, come Facebook o Twitter, stanno agendo per ridurre la quantità e la diffusione di notizie false sulle loro piattaforme, ma una risoluzione del problema è ancora lontana. Il social di Mark Zuckerberg, in merito alla guerra, ha creato un apposito centro operativo composto da madrelingua ucraina e russa per controllare la veridicità delle notizie. Dall’altro lato, Twitter sta lavorando per limitare la disinformazione controllando le attività di manipolazione da parte di account vulnerabili.
Il fenomeno della disinformazione è trasversale e può riguardare tutti, persone di qualsiasi età e di ogni ceto sociale. Essendo così diffuso, risulta difficile anche contrastarlo. Ecco perché un ruolo fondamentale spetta ai singoli utenti, che devono essere in grado di dedicare del tempo per imparare a distinguere tra una notizia reale o una fake news.
Il rischio di guerra cibernetica
Nell’ultimo anno il rischio di una guerra informatica sta diventando sempre più preoccupante. In effetti, il cyberspazio è ormai un vero e proprio campo di battaglia, dove le superpotenze stanno concentrando i loro investimenti militari. Nella guerra in Ucraina abbiamo visto attacchi informatici sin dall’inizio, ma vale anche la pena ricordare l’attacco effettuato dal gruppo di hacker Anonymous contro la Russia. L’azione più importante è stata quella che il gruppo ha messo in atto contro la tv russa e i siti web del governo.