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Contratti discografici: major o indipendenti?

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Gli artisti, si sa, non hanno mai avuto vita facile. Sia per quanto riguarda i riconoscimenti sulla paternità delle loro opere, sia riconoscimenti economici per il lavoro svolto. Oggi giorno poi, il problema del “farsi conoscere” è ancora più fortemente sentito, soprattutto perché è aumentata la possibilità per tutti di potersi far conoscere tramite social network e le mille altre possibilità offerte dal web.

I contratti discografici negli anni hanno dato una speranza in più a musicisti e cantautori. Le case discografiche hanno aiutato e aiutano ancora gli artisti della musica. Per quanto contestati sin dalla loro nascita, le etichette che hanno avuto buoni rapporti (cosa veramente molto rara e che è durata per lo più per un breve periodo) con i vari talenti scovati hanno veramente aggiunto “valore” durante le varie fasi di una carriera seguita.

All’inizio della nascita dell’industria musicale, le etichette discografiche rappresentavano, come dicevamo, l’unica via di successo per un artista. Quindi il principale obiettivo di ogni nuovo artista o gruppo era diventato quello di firmare al più presto un contratto con una casa discografica. Tra gli anni 40 e gli anni 60, molti artisti erano talmente ossessionati dall’avere alle spalle una casa discografica, da essere disposti a firmare a tutti i costi un contratto discografico, anche se si trattava di un pessimo contratto, che talvolta non garantiva loro neanche i diritti sulla musica prodotta. Stessa cosa è avvenuta anche all’interno dell’industria cinematografica che talvolta ha raccontato di queste vicende.

Quando si arriva alla firma di un contratto con un’etichetta discografica, ci si sente già meglio, come se un passo in avanti, significativo per la propria carriera è stato ormai fatto. Ma il contratto in se non garantisce niente in termini di futura carriera per un’artista. Significa per lo più che l’etichetta promette delle possibilità per mettervi in evidenza in ambiti più professionali e riserva all’ “assistito” delle attenzioni più specifiche. Significa che all’uscita del vostro disco farete:

 

1) Interviste radiofoniche in giro per l’Italia (ovviamente stiamo parlando nello specifico del nostro paese);

2) Forse potreste parteciperete a qualche show televisivo, ma non di alta risonanza;

3) Parteciperete sicuramente a manifestazioni canore varie;

4) Un video se la casa decide di investire dei soldi, mal che vada qualche servizio fotografico è garantito;

5) Le percentuali riservate nella vendita dei dischi per l’artista, si aggireranno al 2%, escluse diverse migliaia di copie che l’etichetta discografica ritiene devolute a fini pubblicitari e quindi non retribuite per voi.

6) Ingaggio economico iniziale è pari a zero, sempre perché all’inizio bisogna farsi conoscere.

7) Sarete impegnati con loro per un  periodo di 3 o 5 anni e non potrete dare i vostri brani ad altri se non per loro concessione, nè tanto meno stipulare contratti con altre case discografiche.

 

Tirando le somme è un po’ come facevate prima, solo che adesso le spese sono a carico loro e voi sarete completamente tutelati. Avrete la possibilità di fare delle registrazioni per finalità CD ma la qualità e la spesa che faranno varierà di molto. Tutto sta nell’essere fortunati a trovare una buona casa discografica da avere alle spalle o in alternativa optare per contratti discografici provenienti da chi della musica non ne vede solo un ritorno economico, un business da perseguire a tutti i costi. Stiamo parlando delle etichette indipendenti, nate negli anni “80 dalla scena punk e con la DIY (Do It Yourself, etichetta che incoraggiava le band all’autoproduzione e auto distribuzione dei propri dischi) e che stanno crescendo sempre di più, soprattutto negli ultimi tempi in cui, grazie anche all’avvento di internet e la sua superdiffusione, le spese di produzione sono diminuite.


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