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I mille volti volti della dipendenza da internet e social network

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Homo Technologicus

Secondo Giuseppe O. Longo, alle fasi evolutive umane che ci vengono insegnate tra i banchi di scuola se ne sarebbe aggiunta un’altra, che è quella che caratterizza il nostro momento storico: l’Homo Technologicus.

In verità, “tecnologico” sarebbe anche utilizzare il fuoco con determinati scopi, costruire utensili, ruote, darsi all’ingegneria, per cui si potrebbe pensare che anche le precedenti fasi dell’evoluzione rientrerebbero in questo standard; ma non è esattamente così. Il salto evolutivo, in questo caso, è segnato dal passaggio da una fase a “tecnologia limitata” ad un’altra a “tecnologia intensa“.

In particolare, tra le righe del suo libro, si legge: “L’Homo Technologicus è un’unità evolutiva completamente nuova, è un’entità organica, mentale, corporea, psicologica, sociale e culturale senza precedenti, che se partecipa ancora dei miti, dei desideri e delle necessità dell’uomo “tradizionale”, crea anche miti, necessità e desideri suoi propri e inediti”.

Pro e contro

In un’atmosfera così densa di novità e di cambiamenti è facile immaginare come gli innumerevoli pro (basti pensare alla E-Health, tanto per citarne uno) siano accompagnati da altrettanti numerosi contro.

Alcuni nascono dal fatto che, ormai, ciò che è artificiale viene visto come perfetto e quindi anche migliore della fallace natura umana, con conseguenze piuttosto serie, a tanti livelli.

Ma non solo.

Nell’approccio tra le vecchie e le nuove generazioni con i dispositivi tecnologici, si nota una predisposizione alla dipendenza molto più alta nelle seconde, che non possono, in alcun modo, confrontare la loro vita attuale con una passata dove la presenza di tutti i device, che oggi utilizziamo quotidianamente, non fosse ancora imperante.

Le nuove generazioni, insomma, nascono, crescono e si forgiano all’interno di un ambiente dove la tecnologia è predominante in tantissimi aspetti, per cui viene data per scontata e vista come un’unica ispirazione di vita a cui rifarsi.

In una lunga intervista,  Francesco Tonioni, docente dell’Università Cattolica di Roma, autore del libro “Cyberbullismo, come aiutare le vittime ed i persecutori” e responsabile del primo ambulatorio italiano (al Policlinico Gemelli, dal 2009) che si occupa di dipendenza da internet e social network, ha cercato di fare il punto della situazione.

In una società dove gli adulti “dipendono” da internet maggiormente per motivi ludici (giochi, console) e sessuali (pornografia, siti di incontri, social network utilizzati solo per determinati scopi) e dove i più giovani si aggregano online per fare tutto quello che si potrebbe fare anche offline, il bullismo ha preso pieghe molto più potenti ed è diventato cyberbullismo.

Nel suo ambulatorio, racconta, arrivano ragazzi, perlopiù (rappresentano l’80% dei pazienti), i cui genitori hanno preso coscienza di un problema e si sono affannati per cercare di risolverlo; tutti gli altri, che soffrono della stessa condizione e che, purtroppo, si ritrovano genitori assenti, non potranno far altro che peggiorare, arrivando anche a fare danni di cui un giorno potrebbero pentirsi.

Se agire in gruppo de-personalizza già nella norma, farlo online, da dietro uno schermo, enfatizza il tutto, per cui si arriva davvero a sforare in aggressività e cattiveria gratuita, in uno scenario dove chi viene preso di mira non può sfuggire agli attacchi: non può cambiare classe, nè casa, nè città, perchè non si può scappare da internet. Anche la semplice cancellazione di un account social non garantisce la cessazione di queste manifestazioni poichè compaiono ogni giorno pagine e gruppi utilizzati per deridere, prendere in giro e pubblicare foto e commenti anche di persone completamente ignare e/o incapaci di reagire.

L’empatia si azzera perchè non ci si riflette negli sguardi, nelle emozioni altrui, non si offende nemmeno faccia a faccia, perchè farlo online è più facile… e anche più da codardi.

Se nei pazienti adulti dell’ambulatorio, ad esempio, si è notato che riducendo le ore di connessione possibili fuoriusciva un disagio esistenziale alla base delle dipendenze sopra citate, nei ragazzi tutto questo è frutto di una condizione di crescita e di una “socializzazione” diversa, i cui meccanismi sono nuovi, rispetto alle generazioni precedenti, e fondati, che ci piaccia o meno, su tutti altri canoni.

Per un ragazzino la visibilità, la “popolarità”, la reputazione digitale è importantissima, si potrebbe dire che sia quasi tutto; ecco perchè sono in tanti a rinchiudersi a riccio o, addirittura, a tentare il suicidio, nel caso in cui ci si ritrovi vittime di questo sistema.

Anatomia del fenomeno

In ogni caso, come attestano studi psicologici sin dalla notte dei tempi anche in altri ambiti, le motivazioni di questo tipo di comportamento risiedono nell’affettività e nelle condizioni familiari.

Ragazzi provenienti da famiglie molto rigide, da abusi o che hanno affrontato male la separazione dei genitori, ad esempio, sono più soggetti a rinchiudersi nella falsa socialità creata da internet per costruirsi un personaggio di cui essere “fieri”, con il quale scappare dalla realtà e sentirsi potenti, magari anche facendone fare le spese a qualcun altro.

Proprio per questo, nell’ambulatorio del dottor Tonioni, è previsto anche un gruppo di sostegno per i genitori, perchè il lavoro non può e non deve essere fatto solo dai ragazzi; spesso è tutta una condizione che deve cambiare per ottenere dei risultati positivi e duraturi.

Ma la cosa più triste è la frase con cui l’intervista si chiude: “Una cosa che più mi ha colpito, dei primi colloqui con questi ragazzi, è che non ti guardano negli occhi. Hanno bisogno di uno schermo che non li faccia arrossire“.


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